Qualche anno fa l’espressione famiglia monogenitoriale era ancora poco comune. Capitava di sentirla ma di non comprenderne immediatamente il significato, ossia una famiglia composta da un unico genitore.
Le ragioni di questa struttura familiare possono essere tante (un lutto, un divorzio, ecc…), ma anche, in alcuni Paesi, la possibilità di adottare da parte di una singola persona o di essere sottoposta a fecondazione assistita. In ogni caso si parla comunque di famiglia, nonostante spesso ingiusti pregiudizi inducano a pensare si tratti di qualcosa di diverso.
In Italia questo tipo di famiglia si è diffuso moltissimo negli ultimi decenni. Basti pensare che nel 1983 le famiglie monogenitoriali erano meno di mezzo milione. Oggi, invece, circa un sesto delle famiglie italiane sono composte da uno o più figli e un unico genitore. A Milano, una famiglia su tre. Sintomo di una società che cambia, ma anche di un’attenzione al bambino che resta inalterata. Sul tema molti studi sono stati infatti condotti, soprattutto negli Stati Uniti, negli ultimi trent’anni e tutti evidenziano che la salute mentale dei bambini cresciuti in famiglie monoparentali è analoga a quella dei bambini cresciute in famiglie con una mamma e un papà.
Può capitare, però, che in una famiglia monogenitoriale le difficoltà economiche possano essere maggiori: un condizionamento dovuto alla presenza di un unico stipendio (o talvolta nemmeno quello). Ecco perché ogni Paese deve dotarsi di una politica assistenziale adatta per consentire uno standard di vita adeguato anche a tali famiglie.
Ma da chi sono composte le famiglie monogenitoriali?
I dati Istat parlano, nell’86,4% dei casi si tratta di una madre con uno o più figli. Di queste, due su tre sono madri lavoratrici: il 43,7% lavora part time. Il 42,1% delle madri sole è a rischio di povertà o di esclusione sociale. L’11,8% è in uno stato di povertà assoluta.
Le famiglie composte da uno o più figli e un padre sono invece in minoranza ma rappresentano comunque una fetta di realtà familiare che va considerata e conosciuta per riuscire ad abbattere ogni tipo di barriera in ambito assistenzialistico, scolastico, sociale.
Le realtà che esistono, infatti, non vanno sottovalutate solo perché rappresentano una minoranza. Ragion per cui è importante, anche a scuola, che le diverse tipologie familiari siano conosciute e considerate tutte allo stesso modo senza alcun tipo di pregiudizio. Si tratta di una consapevolezza che va maturata sia da parte delle docenti che da parte degli altri genitori. Per i bambini non c’è bisogno di spiegar loro nulla: molto spesso hanno già le capacità necessarie per capire che le differenze sono sinonimo di arricchimento e non di minaccia.