Rielaborazione dell’omonima fiaba di Hans Christian Andersen
C’era una volta in fondo agli abissi del mare una giovane sirena: metà donna e metà pesce, aveva i capelli dello stesso colore del fuoco e la voce più soave del mondo.
Passava le sue giornate adagiata sugli scogli, incuriosita dal comportamento degli umani che vedeva in lontananza, collezionando gli oggetti che gli uomini lasciavano cadere tra le onde come se fossero preziosi doni che lei raccoglieva e conservava. Di sera, prima di addormentarsi, ammirava ogni oggetto che aveva trovato, provando a immaginare quale fosse il suo utilizzo.
I suoi simili non avevano simpatia per lei: pensavano non apprezzasse il miracolo di appartenere al mondo del mare e di avere una vita immortale. Eppure, la sirena sentiva di essere attratta con forza dal mondo degli umani, sognando un giorno di poterne far parte.
Una notte, durante una tempesta, un antico vascello che viaggiava lontano dalla costa iniziò a imbarcare acqua e l’equipaggio iniziò a mettersi in salvo sulle scialuppe. Un giovane principe, però, proprio mentre stava per salire su una scialuppa cadde in mare e fu travolto dalle onde.
La giovane sirena, che nuotava nei paraggi, scorse il giovane e nuotò fino a lui portandolo in superficie per consentirgli di respirare. Poi, nonostante le alte onde, trascinò il principe fino alla spiaggia e stette con lui fino all’alba. Con la prima luce, il principe aprì gli occhi ma, per la troppa luce, non riuscì a vederla bene e sentì solo la sua voce. La visione del principe durò pochi secondi: un tempo breve, interrotto dalla fuga della sirena, che tornò tra le acque, lasciando dietro di sé la sua eco di bellezza che ammaliò il principe.
Passarono i giorni e, nonostante la distanza, il principe e la sirena non riuscivano a non pensare l’uno all’altra. Presa dal suo innamoramento, la giovane sirena decise di recarsi dalla strega del mare, una donna solitaria che viveva nelle profondità più buie degli abissi. La strega offrì alla sirena il dono della mortalità e della forma umana, ma a un prezzo molto alto: la sua voce. Inoltre, la metamorfosi era soggetta a una condizione: se la sirena non fosse riuscita a farsi baciare dal principe entro tre tramonti si sarebbe trasformata per sempre in spuma marina.
Dopo aver accettato, la Sirena fu colta da un improvviso e profondo sonno. Si svegliò dopo qualche ora, in riva al mare: al posto della coda due bellissime gambe.
La sirena, un po’ traballante, mosse i suoi primi passi e si avviò verso il castello del principe. Qui tutti la accolsero con grandi onori, come era usanza nei confronti degli stranieri.
Non appena il principe la vide, fu illuminato dalla sua bellezza. Le chiese come si chiamasse, ma la sirena non poté rispondere. Pur muovendo le labbra, dalla sua bocca non uscì alcun suono. Allora provò a cantare, per ricordare al principe chi fosse con le stesse parole che aveva cantato sulla spiaggia dopo averlo tratto in salvo. Ma, ugualmente, dalla sua bocca non uscì alcun suono.
Passarono tre giorni, in cui la giovane sirena, ormai umana e mortale, provò in ogni modo a ricordare al principe di essere la giovane donna che l’aveva salvato dopo il naufragio e che l’aveva fatto innamorare con il suono della sua voce. Ogni tentativo fu però inutile e, il terzo giorno, il principe sposò un’altra donna proveniente da un regno vicino.
Così la sirena si recò in spiaggia, nello stesso luogo dove aveva conosciuto l’amore, innamorandosi del giovane principe. Lì, al tramonto, si trasformò in spuma, non potendo più appartenere né al regno degli uomini né a quello dei mari.
Gli angeli, però, ebbero pietà del suo cuore puro. Così decisero che un giorno, dopo mille anni, la sirenetta sarebbe tornata a nuotare tra le acque dei mari che in vita aveva tanto amato e avrebbe potuto di nuovo cantare con la sua bellissima voce. I mille anni, però, si sarebbero accorciati di un giorno a ogni buona azione di un bambino.
Nel frattempo, lì dove la sirena si adagiava per ammirare da lontano il mondo degli uomini, fu posta una sua statua: questa volta però il suo sguardo non era volto verso terra, ma verso mare, per ricordare a tutti come sia meraviglioso il fragile mondo degli uomini, ma quanto sia immensa la bellezza dell’orizzonte che ci insegna a sognare.
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