Non è facile essere buoni.
Sembra semplicemente una premessa a effetto, buttata lì, pur di dir qualcosa. In realtà si tratta di una constatazione sempre più veritiera. Ogni giorno che passa ce lo dimostra e, nell’era dei social e del commento veloce e mai ponderato, basta farsi un giro sul web per capire che a vincere, ormai, è quasi sempre l’odio. Un odio ben lontano da quello che siamo portati a considerare tale. Più che odio è rancore, trovare un pretesto per far leva sui nostri pregiudizi. Così una donna anziana che è stata testimone della shoah viene attaccata perché “osa esporsi”. Allo stesso modo una ragazza che ha passato diciotto mesi segregata da terroristi viene minacciata sui social (e non solo): ci si arroga il diritto di mettersi nei suoi panni, di sindacare se è giusto o meno quello che ha imparato a credere mentre era in una situazione che nessuno di noi ha mai vissuto nemmeno in un incubo.
Parlare di Silvia Romano significa aprire una porta su di un argomento molto vasto, quello del volontariato e della cooperazione internazionale. Si tratta di settori talmente ampi e con talmente tante sfumature che, per parlarne, occorrerebbe una formazione apposita. Farsi domande non è un divieto ma alcune domande sono lecite, altre no.
“È sicuro aiutare i più poveri nei Paesi del terzo mondo?” è certamente una domanda giusta da porsi. “È giusto aiutare i poveri nei Paesi del terzo mondo?” non lo è. Non lo è perché ha a che fare con la vocazione personale al far del bene, un atto così puro che non merita di essere sporcato con un dubbio insidioso.
Si tratta di una riflessione, la nostra, che si concentra solo su di una parte della polemica, lasciando intenzionalmente altri aspetti che meriterebbero un discorso a parte molto più ampio, come l’odio gratuito nei confronti della donna indipendente (concetto a quanto pare non ancora interiorizzato nella nostra cultura) e delle culture differenti (l’Islam viene spesso erroneamente associato al terrorismo, nonostante sia una religione che, stando alla costituzione italiana, merita lo stesso rispetto di ogni altra)
Accanto a Silvia, come un esercito di benevoli compagni, ci sono tutte quelle volontarie e quei volontari che svolgono la loro attività non perché ritengono che il bene fatto altrove sia migliore di quello fatto “in casa propria”, ma semplicemente perché sanno che il bene non si misura su una scala di valori e non necessita di preferenze: nessuno si ritiene una persona migliore perché svolge attività di volontariato in Africa e non in Italia, ma tutti hanno il diritto di poter scegliere di farlo senza per questo attirare su di sé l’odio altrui.
Esistono innumerevoli associazioni e ONG che promuovono attività di volontariato in Italia. Esistono innumerevoli associazioni e ONG che promuovono attività di volontariato all’estero.
Hanno tutte la stessa dignità e lo stesso valore, così come i volontari che ne fanno parte.
Aiutare il prossimo è un precetto morale che non appartiene solo al mondo religioso. Si tratta di un istinto che alcuni preferiscono omettere, mentre altri ne fanno un perno intorno al quale orientare la propria vita.
“Ci vuole sempre qualcuno da odiare per giustificare la propria miseria” diceva Umberto Eco. Odiare chi fa del bene, trovando un pretesto per farlo, è un diffuso comportamento da estirpare: lo si elimina mettendo a tacere le proprie frustrazioni con un ragionamento costruttivo e, soprattutto, mettendosi nei panni della persona su cui gettiamo quell’odio. Le difficoltà economiche, le pandemie, i propri risentimenti non sono una giustificazione all’insulto.
Ma non insultare non basta. La solidarietà deve essere un esempio da imitare, soprattutto per i più piccoli: solo offrendo loro un modello positivo si può allontanarli da quel mondo dei social, cui prima o poi faranno inevitabilmente accesso, dove odiare è facile.
Nella giornata mondiale della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo, noi vogliamo festeggiare chi della diversità culturale ha fatto un nobile strumento per promuovere la pace.
A queste persone va il nostro plauso e la nostra empatia. È questa forse la parola che può salvare tutti, compreso chi odia. Empatia.