Repubblica Italiana: è davvero un Paese per donne?

Repubblica Italiana: è davvero un Paese per donne?

La storia della nostra Repubblica è una storia di idee, coraggio e antifascismo. È un percorso che ha portato al consolidarsi della democrazia dopo un ventennio di sospensione di alcuni dei più basilari diritti dell’uomo. Il 2 giugno è la data scelta per la celebrazione della nostra Repubblica, data che si rifà al 2 giugno 1946 quando ci fu il referendum per determinare quale forma di stato avrebbe caratterizzato il nostro Paese. Con la vittoria della forma repubblicana, il 10 giugno dello stesso anno fu proclamata la Repubblica Italiana.
Con l’avvento della nostra carta costituzionale, nel 1948, l’articolo 3 riconosce l’eguaglianza senza distinzione di sesso. Tuttavia, de facto, ancora oggi, soprattutto nell’ambito lavorativo, le donne vivono una situazione di svantaggio difficile da sradicare. Eppure, a fare la storia della Repubblica sono state anche le donne che, in quanto tali, hanno dovuto spesso lavorare ben più degli uomini per raggiungere ruoli di rilievo e dare il loro apporto al nostro Paese.
Mondo politico, ma anche imprenditoriale: il dato che emerge dalle ricerche sulla presenza femminile non è tanto (o almeno non solo) un problema di quantità di donne in un determinato ambito, ma della loro considerazione e della loro possibilità di raggiungimento di posizioni apicali.

Secondo i dati Istat che fanno riferimento all’anno 2017, a lavorare nelle istituzioni pubbliche sono soprattutto donne (circa il 56,9% del totale), ma solo il 14,4% arriva alle posizioni di vertice. Inoltre in Parlamento poco più del 30% dei parlamentari è di sesso femminile e solo il 33,6% dei membri dei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa.
Dati che appaiono insoliti soprattutto se si guarda al livello di preparazione professionale, il 15,4% delle donne ha una laurea, contro il 12,7% degli uomini Tra i dottori di ricerca, inoltre, le donne (51,8%) sono più degli uomini.
Ma le donne non sono svantaggiate soltanto con riferimento alla possibilità di raggiungere ruoli apicali, bensì anche nel salario percepito a parità di ruolo rispetto a un collega uomo. Secondo il Gender Gap Report 2019, realizzato dall’Osservatorio JobPricing, in un anno gli uomini italiani guadagnano il 10% in più delle donne a parità di ruolo. Secondo tale studio, inoltre, la differenza retributiva aumenterebbe, a sfavore delle donne, allo scendere della categoria contrattuale.
Una differenza che ci pone al 76esimo posto in una classifica che analizza il gender gap in 153 Paesi.

Una problematica, quella del gender gap, che va combattuta sicuramente in primis con una nuova cultura della parità di genere, ma anche con strumenti ad hoc che possono aiutare a riequilibrare la disparità. In Francia, ad esempio, le aziende private devono pubblicare per legge ogni anno i dati circa la parità retributiva. Se ci sono degli squilibri, hanno tre anni per rimediare, altrimenti vanno incontro a sanzioni pecuniarie.
In Italia, invece, un traguardo importante è stato raggiunto nel 2011 con la legge sulle quote rosa: questa prevede che per le società quotate in borsa almeno un terzo dei membri del Consiglio di Amministrazione sia donna. Si tratta di una misura che, tuttavia, ha effetti relativi alla presenza delle donne in ambienti di lavoro in passato culturalmente destinati ai soli uomini, ma che nulla prevede circa le differenze retributive.

Maria Elisabetta Alberti Casellati, Nilde Iotti, Tina Anselmi, Lina Merlin: sono i nomi di solo alcune delle donne che hanno fatto la storia della nostra Repubblica, per rimanere in ambito politico. Il futuro è costellato di presenze femminili che lavoreranno per la realizzazione di un Paese migliore. Il punto è con quanto sforzo queste donne dovranno lottare per far emergere le proprie idee rispetto a quelle meno meritevoli di colleghi, preferite magari solo perché manifestate da uomini, e se questo sforzo sarà sufficiente perché il merito possa davvero emergere al di là del genere. Altrove sembrerebbe un discorso superfluo, ma in Italia è ancora terribilmente attuale.